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Le sfide del mondo globale

Lo studioso delle comunicazioni di massa Marshall McLuhan con la definizione villaggio globale, fu probabilmente uno dei primi ad etichettare il fenomeno della globalizzazione. La definizione era riferita al cambiamento indotto dallo sviluppo dei media, che spostava il punto di interesse dalla soggettiva dimensione di villaggio, alla spersonalizzata visione globale. Non rappresentava il fenomeno nella sua complessità così come lo conosciamo oggi, ma comunque era la presa d’atto di un cambiamento.

La locuzione ebbe una ampia diffusione in tempi molto più recenti quando, in conseguenza dell’evoluzione tecnologica (prima delle quali Internet), si ebbe un significativo incremento della comunicazione umana. In questo senso con “villaggio globale” s’intendeva sia che il mondo si era ridotto ad un ambito facilmente esplorabile al pari di un villaggio, sia che (almeno per la comunicazione) ciascun villaggio aveva abbattuto i suoi confini e dunque coincideva con il globo.

Il fenomeno della globalizzazione cominciò ad acquisire una crescente rilevanza negli anni duemila. L’intensificazione degli scambi economico-commerciali e degli investimenti su scala mondiale erano cresciuti molto rapidamente, determinando una sempre maggiore interdipendenza delle economie nazionali, con la conseguente interdipendenza anche sociale, culturale, politica, tecnologica e sanitarie come è assolutamente evidente in questo periodo. Il timore diffuso che pervase molte persone sin da quegli anni, fu legato ai rischi di omogeneizzazione culturale a cui, secondo un pensiero diffuso, sarebbero state esposte le popolazioni delle nazioni meno forti rispetto ai valori e le abitudini delle nazioni egemoni.
Il timore fu almeno in parte ingiustificato infatti ben presto anche le imprese globali si resero conto della impossibilità di approcciare a mercati diversi con la stessa tipologia di offerta.

Da qui la necessità di adottare un approccio “glocal” neologismo derivante da “glocalizzazione”, termine utilizzato negli anni’80 dal sociologo Roland Robertson che indicava la necessità di adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali.
Questo approccio trovò una sua rappresentazione efficace nell’affermazione “Think global, act local”, sintesi tra il pensiero globale e l’agire locale che tiene conto delle peculiarità storiche e sociali dell’ambito in cui si vuole operare.
Con l’approccio “glocal” si tenta di preservare le singole identità all’interno di un sistema complesso, senza lederne l’individualità.

Oggi il concetto di globalizzazione va oltre il fattore “geografico” o la necessità di operare su scala globale, ma rappresenta anche un profondo cambiamento nella vita, nelle esperienze e nel pensiero delle persone.

Non mancano gli studiosi che evidenziano gli aspetti negativi dei questo fenomeno, tra questi sicuramente Zygmunt Bauman, il quale sostiene che in precedenza gli stati avevano il potere di decidere e una sovranità territoriale, ma tutto ciò è stato completamente travolto dalla globalizzazione. Secondo il sociologo polacco, i governi non hanno più il controllo dei loro paesi perché i il potere della finanza, dei media e di molte grandi imprese supera la dimensione delle singole nazioni e quindi è in grado di “farsi facilmente beffa delle regole e del diritto locali”. La difficoltà dei governi di arginare le politiche di elusione fiscale dei giganti del web ne è una concreta testimonianza.

Si tratta di un cambiamento molto importante e relativamente recente, la cui evoluzione è estremamente rapida. Abbiamo impiegato decenni per adeguare il sistema normativo, politico e l’organizzazione degli Stati al cambiamento sociale ed economico determinato dalla rivoluzione industriale e quindi è abbastanza normale che ci siano difficoltà di fronte ad un fenomeno la cui portata coinvolge un numero di paesi e persone cosi ampio e con profonde differenze storiche e culturali.

Per contro sono evidenti anche i molti aspetti positivi, tra questi sicuramente vanno annoverati la velocità delle comunicazioni e della circolazione delle informazioni, l’opportunità di crescita economica per nazioni a lungo rimaste ai margini dello sviluppo economico mondiale.
Cosìi come la possibilità per le imprese di accedere a mercati nuovi e dalle grandi potenzialità sino a poco tempo fa assolutamente inaccessibili.

Per una nazione come l’Italia che eccelle per l’originalità e l’unicità delle proposte dei propri settori economici, basti pensare alla moda, al design o all’agroalimentare e che dispone di un patrimonio culturale senza uguali al mondo, la possibilità di ampliare i mercati di destinazione, rappresenta una opportunità di sviluppo irrinunciabile.
Ovviamente per cogliere queste opportunità è necessario adottare strategie adeguate, non è infatti pensabile di riproporre pedissequamente gli approcci adottati fino ad oggi in contesti competitivi totalmente diversi, ne paga un approccio opportunistico chhe prescinda da un disegno di medio periodo.

È necessario che la politica, le istituzione ed il sistema imprenditoriale prendano piena consapevolezza dei cambiamenti in atto, oramai irreversibili e effettuino le scelte e predispongano gli strumenti idonei per consentire alle nostre imprese di competere con successo nei mercati globali. La sfida della globalizzazione non può essere elusa, l’alternativa per il sistema economico italiano è solo tra essere protagonista o essere marginalizzato.
Il mondo della consulenza deve essere pronto per supportare con i propri saperi le aziende nel percorrere questo inevitabile percorso verso il futuro..

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