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Sostenibilità di Genere

Un articolo a cura di Azzurra Rinaldi pubblicato su C&I di Luglio 2021.

Dal numero di Luglio 2021 di C&I
Nel corso degli ultimi decenni, il ruolo N delle aziende ha subito una profonda trasformazione.
In microeconomia, affermiamo che l’obiettivo di ciascuna azienda è massimizzare il proprio profitto. E questo rimane il goal fondamentale per chiunque decida di fare impresa.

Tuttavia, sin dagli anni Ottanta, si è andata affermando una maggiore consapevolezza rispetto al senso di responsabilità che l’azienda dovrebbe assumere nei confronti della collettività. Senso di responsabilità che rinveniamo associato non solo più strettamente alle modalità di produzione, ma anche alle politiche interne ed alle azioni con le quali l’azienda si presenta verso l’esterno.

È ormai opinione piuttosto condivisa, ad esempio, che l’azienda debba essere sostenibile, ovvero che sia chiamata a limitare al massimo l’impatto negativo che il proprio processo produttivo può esercitare sull’ambiente, determinando in questo modo dei costi che non sono più unicamente aziendali, bensì prevalentemente collettivi. Ma nell’ambito ampio della sostenibilità le stesse Nazioni Unite hanno fatto ricadere anche la parità di genere, che troviamo elencata come Obiettivo 5 dei nuovi Sustainable Development Goal dell’Agenda 2030.

Si potrà immaginare che promuovere la gender equality possa allora confifigurarsi come un tema di responsabilità sociale, un tentatitivo delle aziende di contribuire con il loro operato ad un obiettivo di equità più ampio.
Ma qui occorre soffermarsi per alcune riflessioni. Partiamo da un dato macroeconomico. A livello mondiale, nel 2020 solo il 47% delle donne in età lavorativa è effettivamente occupata.

E cosa impedisce alle donne di esplodere nel loro pieno potenziale sul mercato del lavoro, come dipendenti o come imprenditrici?

Tutti i dati (anche quelli recentissimi della International Labour Organization) identificano come causa principale il lavoro di cura non retribuita (nei confronti dei figli, degli anziani, della casa), che a livello mondiale per il 75% grava sulle spalle, appunto, delle donne.

Ma, nonostante le apparenze, questo non è un problema “delle donne”: è un problema di sistema economico. Ed è un peccato: se le donne partecipassero all’economia globale nella stessa misure degli uomini, il PIL globale aumenterebbe di 12.000 miliardi di dollari entro il 2025. E questo è vero anche per la creazione di impresa: secondo una recente ricerca del Boston Consulting Group (BCG), se donne ed uomini partecipassero nella stessa misura all’imprenditoria, il PIL mondiale crescerebbe dal 3 al 6% (per un valore compreso tra i 2.500 ed i 5.000 mi- liardi di dollari).

E quali sono, invece, le ripercussioni a livello microeconomico, ovvero aziendale?

Il Rapporto Women in Financial Services 2020 mostra ad esempio che nell’industria finanziaria le donne sono presenti per il 20% nei comitati esecutivi e per il 23% nei board. Secondo questo Rapporto, una maggiore presenza femminile in ruoli di responsabilità aziendale genererebbe “un’opportunità di maggiori ricavi per 700 miliardi di dollari grazie a un migliore servizio alle donne clienti”. Il Rapporto afferma ancora che: “In un settore da 4000 miliardi di dollari di fatturato, che attualmente cresce al di sotto dei tassi di crescita del PIL, questa è probabilmente la più grande opportunità di crescita singola disponibile.”
Sulla stessa linea anche la Curtin Business School di Perth….

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